Codice di Procedura Penale art. 420 bis - Assenza dell'imputato 1 .Assenza dell'imputato 1. 1. Se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza, il giudice procede in sua assenza: a) quando l'imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell'atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell'atto; b) quando l'imputato ha espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell'articolo 420-ter, ha rinunciato espressamente a farlo valere. 2. Il giudice procede in assenza dell'imputato anche quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all'udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. A tal fine il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante. 3. Il giudice procede in assenza anche fuori dai casi di cui ai commi 1 e 2, quando l'imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo 2. 4. Nei casi previsti dai commi 1, 2 e 3 il giudice dichiara l'imputato assente. Salvo che la legge disponga altrimenti, l'imputato dichiarato assente è rappresentato dal difensore. 5. Fuori dai casi previsti dai commi 1, 2 e 3, prima di procedere ai sensi dell'articolo 420-quater, il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso di cui all'articolo 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d'udienza siano notificati all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. 6. L'ordinanza che dichiara l'assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. L'imputato è restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto: a) se fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell'assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento senza sua colpa; b) se, nei casi previsti dai commi 2 e 3, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non essere potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; c) se comunque risulta che le condizioni per procedere in sua assenza non erano soddisfatte. 7. Fuori del caso previsto dal comma 6, se risulta che le condizioni per procedere in assenza non erano soddisfatte, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza che dichiara l'assenza dell'imputato e provvede ai sensi del comma 5.
[1] [1] Gli attuali artt. 420, 420-bis, 420-ter, 420-quater e 420-quinquies sono stati introdotti in sostituzione dell'originario art. 420 dall'art. 19, comma 2, l. 16 dicembre 1999, n. 479. Articolo successivamente sostituito dall'art. 9 , comma 2, l. 28 aprile 2014, n. 67. Per l'applicazione v. l'art.15-bis, l .n. 67, cit. ,il testo precedente era il seguente: «Rinnovazione dell'avviso. 1. Il giudice dispone, anche di ufficio, che sia rinnovato l'avviso dell'udienza preliminare a norma dell'articolo 419, comma 1, quando è provato o appare probabile che l'imputato non ne abbia avuto effettiva conoscenza, sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa e fuori dei casi di notificazione mediante consegna al difensore a norma degli articoli 159, 161, comma 4, e 169. 2. La probabilità che l'imputato non abbia avuto conoscenza dell'avviso è liberamente valutata dal giudice. Tale valutazione non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione» e successivamente sostituito dall'articolo 23, comma 1, lett. c) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il testo precedente era il seguente: <<Assenza dell'imputato.1. Se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza e, anche se impedito, ha espressamente rinunciato ad assistervi, il giudice procede in sua assenza.2. Salvo quanto previsto dall'articolo 420-ter, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.3. Nei casi di cui ai commi 1 e 2, l'imputato è rappresentato dal difensore. è altresì rappresentato dal difensore ed è considerato presente l'imputato che, dopo essere comparso, si allontana dall'aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare ad udienze successive.4. L'ordinanza che dispone di procedere in assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'articolo 421, comma 3. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'articolo 493. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l'imputato può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede se l'imputato dimostra che versava nell'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell'impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa.5. Il giudice revoca altresì l'ordinanza e procede a norma dell'articolo 420-quater se risulta che il procedimento, per l'assenza dell'imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni di tale articolo.>> [2] La Corte cost., con sentenza 26 ottobre 2023, n. 192, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall’art. 1, comma 1, della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1988, n. 498, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell’imputato, è impossibile avere la prova che quest’ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell’imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa. InquadramentoLa “riforma Cartabia”, in attuazione della delega conferita con la l. n. 134/2021 (lettera a) dell'art. 1 comma 7), riformula la norma cardine che disciplina l'assenza (art. 420-bis), superando il sistema di presunzioni oggi vigente. Peraltro, fondamentale resta la distinzione tra il momento della regolarità della notifica e quello relativo alle valutazioni relative alla procedibilità in assenza, perché se la notifica non è regolare, la verifica della costituzione delle parti non si può concludere, per cui la possibilità di procedere in assenza non può essere verificata e non possono, quindi, avere inizio le attività che potrebbero portare alla sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. In questa logica, quindi, assolutamente interconnessa alla disciplina dell'assenza è quella dettata in materia di notificazioni, rispetto alla quale l'intervento di attuazione della legge delega n. 134/2021 si connota per il tentativo di recuperare una conoscenza reale e certa e non solo formale degli atti introduttivi del giudizio. Il “nuovo” art. 420-bis, c.p.p. valorizza, ai fini della possibilità di procedere senza la presenza dell'imputato, da un lato, l'effettiva conoscenza della pendenza del processo e non già del mero procedimento o della accusa: un parametro che sottende la consapevolezza dell'imputato della fissazione di un'udienza (nel caso in esame, preliminare, ma anche dibattimentale o d'appello). La nuova disciplina, in conformità alla delega e alla direttiva della direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (che costituisce l'altro punto di riferimento decisivo nella predisposizione delle norme in esame), aggiunge quelle situazioni nelle quali, pur non essendovi stata una notifica a mani proprie o di persona espressamente delegata e pur non risultando espressa rinuncia a comparire, la conoscenza della pendenza del processo può comunque ritenersi effettivamente sussistente, perché accertata in base ad un complesso di elementi rimessi alla valutazione del giudice (comma 2). In questo caso, per offrire al giudice un criterio di valutazione sono stati indicati alcuni elementi sintomatici, idonei a far desumere l'effettiva conoscenza della pendenza del processo: la formula utilizzata esalta le indicazioni della legge di delega che invitano il giudice a dare rilevo, oltre che alle modalità di notifica (potendo ad esempio valorizzarsi, a tal fine, l'esecuzione della notifica presso un domicilio dichiarato o eletto dall'imputato), ad ogni altra circostanza del caso concreto, avvalorando la valutazione giudiziale caso per caso, in netta contrapposizione con il sistema di indici presuntivi attualmente previsti. L'indicazione nel testo di elementi valutativi è meramente esemplificativa, come dimostrato dalla locuzione per cui il giudice può tenere conto «di ogni altra circostanza rilevante». Nel comma 3 sono, invece, collocati i casi di volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo. Situazione che include certamente la latitanza, per la quale la legge delega espressamente prevede che si proceda sempre in assenza e che è ritenuta, anche dalla citata direttiva (UE) 2016/343, caso tipico di sottrazione volontaria alla conoscenza del procedimento e in questa logica, ridisciplinata, ma che può includere anche altri casi, che non è necessario tipizzare, rispetto ai quali si può affermare che la mancata conoscenza dipende da un comportamento volontario. Laddove i predetti presupposti per procedere in assenza risultino non sussistere, prima di avviare la procedura prevista dell'art. 420-quater, il giudice dell'udienza preliminare deve disporre ulteriori ricerche finalizzate alla notificazione a mezzo della polizia giudiziaria dell'avviso di fissazione della medesima e del verbale d'udienza, dal quale risulta la data del rinvio, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 1 comma 7, lett. b) l. 134/2021. Una procedura che porterà o a rintracciare effettivamente l'imputato oppure ad acclarare una concreta impossibilità di rintracciarlo. Peraltro, con previsione generale è previsto che nello stesso modo il giudice deve sempre procedere se si avvede, anche successivamente, di aver proceduto in assenza pur in difetto dei presupposti indicati nei primi tre commi dell'articolo in esame. Il giudice rileva il difetto e, salvo che l'imputato sia comparso in udienza (nel qual caso è concesso all'imputato il rimedio restitutorio), procede a disporre la notifica a mezzo di p.g., per avviare eventualmente la procedura dell'art. 420-quater. Questa previsione esprime il più generale indirizzo che informa tutta la materia in esame e che distingue sempre chiaramente tra casi in cui si è erroneamente proceduto in assenza pur quando mancavano i presupposti normativi per farlo, e le ipotesi nelle quali, invece, in ragione dei dati a disposizione del giudice, la declaratoria di assenza ha pienamente rispettato i parametri di legge ed era quindi del tutto corretta, ma l'imputato offre successivamente una valida dimostrazione che in realtà egli non aveva una conoscenza effettiva oppure non aveva potuto intervenire tempestivamente senza sua colpa. Secondo uno schema che emerge anche dall'art. 604 c.p.p. vigente, il quale distingue tra i casi in cui non si sarebbe potuto procedere in assenza, rispetto ai quali prevede che la sentenza sia dichiarata nulla e quelli in cui, invece, l'imputato prova che l'assenza era dovuta ad una sua incolpevole mancata conoscenza del processo, rispetto ai quali parimenti prevede che la sentenza sia annullata, ma, appunto, previa prova di una incolpevole mancata conoscenza del processo. In questa logica, quindi, secondo un modulo che si ripeterà in tutto il corso del processo, e che rappresenta la spina dorsale portante del sistema dei rimedi, se, prima della decisione, l'imputato compare il giudice revoca sempre, anche d'ufficio, l'ordinanza che dichiara l'assenza, ma restituisce l'imputato nei termini per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto o in ragione del fatto che la dichiarazione di assenza era errata (ogni qual volta risulti, quindi, che le condizioni per procedere in sua assenza non erano soddisfatte) oppure solo in presenza di precisi presupposti che è onere dell'imputato dimostrare. Infatti, proprio perché l'assenza risulta ben dichiarata, l'imputato assente che compare è rimesso nei termini solo se dimostra che si è trovato nell'assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento senza sua colpa. Parimenti, ma nei soli casi di assenza previsti dall'art. 420 bis, commi 2 e 3 (ossia quando l'assenza è stata correttamente ritenuta provata dal giudice, l'imputato è parimenti rimesso nei termini se prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. GeneralitàLa disciplina dell'assenza dell'imputato è collocata, dall'art. 23 d.lgs. n. 150 del 2022, nell'art. 420-bis c.p.p. che viene pressoché integralmente riformulato, individuando le ipotesi in cui è possibile procedere benché egli non sia comparso in udienza. Tale disciplina ruota intorno a due elementi fondamentali: 1) lo smantellamento di ogni forma di presunzione e del sistema di conoscenza legale, sostituito da quello di effettività; 2) la centralità del giudice nella verifica in concreto della reale conoscenza del processo da parte dell'imputato. Le situazioni in cui può ritenersi certo che l’imputato ha conoscenza del processo Come bene evidenziato in dottrina (Mele), viene innanzitutto in rilievo la ridefinizione delle ipotesi rilevanti ai fini della celebrazione del processo in assenza, individuate in situazioni in cui può ritenersi certo che l'imputato abbia conoscenza del processo. Tali sono: a ) l'ipotesi in cui la citazione a comparire all'udienza sia stata notificata a mani dell'imputato. In tal caso, avendo ricevuto egli stesso l'atto, ne ha senz'altro avuto contezza ed ha perciò acquisito consapevolezza che si svolgerà un processo nei suoi confronti; a. 1) l'ipotesi in cui la citazione a comparire all'udienza sia stata notificata a mani di persona espressamente delegata dall'imputato al ritiro. Anche in tal caso, la delega conferita dall'interessato ad un soggetto terzo, per ritirare la notifica, è espressione del fatto che l'imputato ha cognizione della pendenza di un processo a suo carico. Tale ipotesi, tuttavia, benché equiparata alla precedente, potrebbe dare luogo secondo la richiamata dottrina a qualche perplessità. Innanzitutto, potrebbe porsi il problema di stabilire se sia sufficiente la consegna dell'atto a persona convivente o addetta alla casa. La soluzione negativa sembrerebbe trovare conferma da un lato nel dato testuale della norma, che stabilisce che la delega al ritiro dell'atto deve essere espressa, con ciò intendendo che deve essere riferita proprio agli atti concernenti il processo; dall'altro nella ratio della riforma e nei criteri guida della delega, imperniati intorno al concetto della conoscenza effettiva che in tal caso non parrebbe salvaguardata. Analoghe considerazioni potrebbero valere anche per il caso in cui l'imputato abbia eletto o dichiarato domicilio. La notifica a mani del domiciliatario, a meno di una specifica delega in tal senso, non parrebbe idonea a conseguire quell'effetto di conoscenza reale che, nell'ottica della riforma, sola può consentire lo svolgimento del processo in assenza; b ) l'espressa rinuncia dell'imputato a comparire all'udienza; b .1) in caso di legittimo impedimento, l'espressa rinuncia a farlo valere. In entrambi tali casi, viene in rilievo un comportamento dell'imputato che è di per sé chiara manifestazione della circostanza che egli è a conoscenza del processo pendente nei suoi confronti e in modo espresso rinuncia a comparire ovvero, avendo un impedimento ai sensi dell'art. 420-ter, opta per non farlo valere, in tal modo consentendo scientemente che il processo si svolga in sua assenza. La volontarietà della rinuncia emerge dal tenore espresso della medesima, la quale pertanto non può essere implicita, né può essere desunta da comportamenti concludenti, essendo bandita in proposito – come si dirà subito infra – ogni forma di presunzione. Oltre a tali ipotesi, in attuazione del criterio di cui alla lett. c) dell'art. 7 della legge delega n. 134/2021, il d.lgs. n. 150 del 2022 ne ha introdotte di ulteriori all'espresso fine – secondo quanto si legge nella Relazione illustrativa – di adeguarsi alle previsioni della direttiva UE 343/2016. Stabilisce il novellato comma 2 dell'art. 420-bis che si procede in assenza: c ) anche quando il giudice ritiene «altrimenti provato» che l'imputato ha conoscenza effettiva della pendenza del processo e che pertanto la sua assenza in udienza è dovuta ad una scelta consapevole. La disposizione si riferisce a situazioni in cui, pur non essendovi stata una notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza a mani dell'imputato, tuttavia, ricorrono una molteplicità di elementi che inducono comunque il giudice a ritenere che egli abbia avuto cognizione del processo. È questo uno degli snodi principali in cui il legislatore delegato dà attuazione al più volte richiamato criterio ispiratore della riforma, e cioè il superamento di ogni forma di presunzione di conoscenza. È infatti richiesta la prova, sia pure per vie diverse dalla notifica a mani dell'imputato o a persona delegata, della conoscenza effettiva e reale del processo, e in questa ottica vanno letti i successivi indici stabiliti dal legislatore. Correttamente, sotto la vigenza del modificato art. 420-bis, c.p.p., era stato affermato che le ipotesi di cui all'art. 420-bis devono interpretarsi, oltre che alla luce del principio della cognizione quanto più effettiva e personale possibile, alla stregua di autentico e fondamentale canone ermeneutico, ossia le une per mezzo delle altre, ciò che legittima l'assunto secondo cui le fattispecie indicata dalla legge possiedono il nucleo logico comune della certezza o quasi certezza della conoscenza del processo (Trib. Asti, 23 maggio 2014). Il compito del giudice di accertare “caso per caso” la conoscenza del processo Il nuovo testo attribuisce al giudice il compito di operare in concreto e caso per caso la valutazione della conoscenza del processo. A tal fine, l'art. 420-bis, comma 2, indica alcuni elementi che, come si è detto, lungi dal costituire delle presunzioni, sono indici meramente sintomatici e puramente esemplificativi della conoscenza del processo e che il giudice può valutare ai fini dell'accertamento che è chiamato ad operare. Tali indici consistono: i) nelle modalità della notifica; ii) negli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza; iii) nella nomina di un difensore di fiducia; iv) in ogni altra circostanza rilevante. Il giudice potrà perciò considerare il fatto che la notifica sia avvenuta a mani di persona convivente con l'imputato (si v. il Dossier Senato 30 agosto 2021, p. 24), oppure verificare se questi, prima dell'udienza, abbia depositato una memoria a sua firma, ovvero se, in prossimità della stessa, abbia nominato un difensore di fiducia e se questo abbia accettato l'incarico (in tal senso, Mangiaracina). Potrà altresì considerare ogni altro elemento che egli ritenga rilevante, dal momento che – come sottolineato anche nella Relazione illustrativa ed evidenziato dal tenore letterale della disposizione – l'elencazione contenuta nel comma 2 è meramente esemplificativa, potendo il giudice trarre elementi di valutazione anche da altre circostanze. L’oggetto della conoscenza da accertare: la pendenza di un processo L'art. 420-bis chiarisce in modo univoco qual è l'oggetto della conoscenza da accertare, e cioè la pendenza di un processo. In tal modo vengono superati i problemi connessi all'interpretazione della precedente normativa e che avevano visto la giurisprudenza di legittimità pervenire a conclusioni non sempre univoche. A fronte di pronunce che avevano ritenuto elemento idoneo a legittimare la presunzione di conoscenza del processo l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio effettuata nel corso dell'identificazione da parte della polizia giudiziaria, prima ancora dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato (Cass. IV, n. 10238/2020), altre sentenze avevano precisato che la conoscenza è garantita solo dalla conoscenza di un provvedimento formale di vocatio in iudicium contenente l'indicazione dell'accusa formulata nonché della data e del luogo di svolgimento del giudizio (Cass. S.U., n. 28912/2019). Più di recente, si è affermato che è nulla per violazione del contraddittorio, sulla quale non prevale la causa estintiva, la sentenza di merito dichiarativa della prescrizione del reato, emessa all'esito di procedimento celebrato in assenza dell'imputato senza che ricorressero le condizioni previste dall'art. 420-bis cod. proc. pen., a condizione che non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato (Cass. I, n. 39097/2023). Tale ultima decisione merita particolare menzione perché sembrerebbe segnare il superamento del principio affermato dalle Sezioni Unite “Tettamanti” (Cass. S.U., n. 35490/2009) - secondo cui in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva - principio destinato a trovare applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale, ma il cui superamento, secondo la decisione in questione, sarebbe stato determinato dalla sentenza della Corte costituzionale (Corte cost., n. 111/2022), che, dopo aver analizzato il diritto vivente sedimentatosi a partire dalla richiamata decisione delle Sezioni Unite, avrebbe ritenuto l'interpretazione così validata in contrasto con gli artt. 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost. Il chiarimento introdotto nell'art. 420-bis, oltre a dissipare ogni dubbio, dovrebbe comportare un particolare rigore nella valutazione che il giudice deve operare degli indici sintomatici di conoscenza, potendo non essere più sufficiente, ad esempio, il compimento di atti che implicano al più la cognizione dell'avvio di un procedimento - come poteva essere, nel precedente sistema, l'arresto, o il fermo ovvero l'applicazione di una misura cautelare –, e non già la pendenza di un processo. In ogni caso le valutazioni operate dal giudice dovranno essere espresse in apposita motivazione, nella quale egli darà conto degli elementi considerati e del percorso logico seguito per ritenere che l'imputato abbia avuto effettiva consapevolezza del processo. Si è osservato in proposito che proprio il rigore di tale valutazione, la quale dovrebbe essere ispirata al criterio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, è garanzia di effettività del nuovo sistema. Le deroghe alla regola della necessaria conoscenza dello svolgimento del processo La regola della necessaria conoscenza dello svolgimento del processo incontra due deroghe indicate nel comma 3 dell'art. 420-bis. Questo consente che, anche in mancanza delle condizioni indicate nei commi precedenti, si proceda in assenza nei confronti dell'imputato latitante o che si sia volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo. In tali ipotesi, non vi è la certezza che egli sia consapevole dell'esistenza di un processo, e tuttavia il legislatore dispone che questo faccia comunque il suo corso. Tale deroga, la quale costituisce attuazione del criterio dettato dall'art. 1, comma 7, lett. f) della legge delega n. 134/2021, è conforme alla direttiva 2016/343/UE che all'art. 8, par. 3, consente agli Stati membri di svolgere il processo in assenza quando l'imputato non può essere rintracciato «nonostante gli sforzi profusi». Tale previsione, peraltro, si coordina con la modifica della disciplina della latitanza operata dal d.lgs. n. 150 del 2022, e con la previsione che la sua dichiarazione sia sorretta da adeguata motivazione (art. 296, comma 2, c.p.p., come modificato dall'art. 13, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 150 del 2022). Ulteriore ipotesi di deroga è prevista nel caso di volontaria sottrazione alla conoscenza del processo, la quale ricorre quando l'imputato, avendo avuto una qualche informazione in ordine al fatto che si svolgerà un processo nei suoi confronti, fa in modo di non ricevere alcuna comunicazione ufficiale, da parte degli organi a ciò preposti. In tal caso la deroga si giustifica in ragione della volontà dell'imputato non solo di sottrarsi al processo, ma prima ancora di ostacolarne lo svolgimento impedendo di esserne formalmente informato. Anche in tal caso spetta al giudice accertare se ricorrano i presupposti di tale ipotesi derogatoria e, in caso affermativo, darne conto con specifica motivazione. Il mancato accertamento della pendenza del processo: doveri del giudice L'art. 420-bis disciplina altresì l'ipotesi in cui manchino i presupposti per procedere in assenza dell'imputato previsti dai commi 1, 2 e 3, e dunque non si sia accertato che l'imputato era a conoscenza della pendenza del processo. Il comma 5 prevede che in tal caso il giudice deve rinviare l'udienza e disporre che, a mezzo della polizia giudiziaria, siano notificati personalmente all'imputato la richiesta di rinvio a giudizio, l'avviso di fissazione dell'udienza e il verbale della medesima. A tale adempimento il giudice è tenuto ogni qual volta egli si avveda della possibilità che manchino i presupposti per procedere in assenza. Appare chiaro che tale disciplina è ancora una volta tesa a garantire che si realizzi la conoscenza del processo, attraverso un ulteriore tentativo di rintracciare l'imputato, questa volta operato con il più efficace ausilio della polizia giudiziaria, ovvero di appurare l'impossibilità di raggiungere tale scopo. L'art. 420-bis predispone altresì dei rimedi “interni” all'udienza preliminare per le ipotesi in cui si sia proceduto in assenza pur in mancanza dei presupposti. In dottrina si è sottolineato sul punto (Quattrocolo) come la giurisprudenza della CEDU ritiene che la sussistenza di rimedi efficaci costituisca un passaggio imprescindibile ai fini della valutazione del rispetto dell'art. 6, §§ 1 e 3 della Convenzione. Due sono le ipotesi che vengono in considerazione e differenti sono i rimedi per esse apprestati. Innanzitutto , è possibile che l'assenza sia stata correttamente dichiarata dal giudice e tuttavia l'imputato, prima della decisione, sia comparso in udienza. Ciò comporta che il giudice debba revocare, anche d'ufficio, l'ordinanza che ha dichiarato l'assenza e debba altresì rimettere l'imputato in termini per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. A tal fine, tuttavia, devono ricorrere le condizioni specificamente indicate dal comma 6 dell'art. 420-bis, che è onere dell'imputato provare. Queste consistono: a ) nell'esistenza di caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento che gli abbiano impedito in modo assoluto di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che è stato nella assoluta impossibilità di trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento, senza che sia ravvisabile una sua colpa; b ) nelle ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto “altrimenti provata” l'effettiva conoscenza del processo, ovvero nel caso di latitanza o di volontaria sottrazione, l'imputato deve fornire la prova di non aver avuto conoscenza del processo e di non essere stato in grado, senza sua colpa, di intervenire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; c ) quando risulti comunque che non ricorrevano i presupposti per dichiarare l'assenza. L'art. 420-bis contempla altresì un rimedio generale per l'ipotesi in cui il giudice si avveda che l'assenza sia stata erroneamente dichiarata. In tal caso, egli revoca anche d'ufficio l'ordinanza che ha dichiarato l'assenza e provvede a norma del comma 5, rinviando l'udienza e disponendo che l'avviso di fissazione dell'udienza, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale dell'udienza siano notificati all'imputato a mezzo polizia giudiziaria. Pur nel silenzio della norma, sembra doversi ritenere che anche in tal caso, come per l'ipotesi contemplata dal comma 6, l'imputato sarà restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto, senza che però gravi su di lui alcun onere, posto che la sua mancata comparizione in udienza non è derivata da una sua scelta volontaria, né l'assenza di consapevolezza del processo è dipesa da sua colpa. Gli interventi della Corte costituzionaleLa Corte cost., prima della novella del 2014, ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 420-bis, comma 1, sollevata, in riferimento agli artt. 3,24 e 111 Cost., nella parte in cui non prevede la possibilità per il giudice di disporre la rinnovazione della notifica, qualora appaia probabile che l'imputato, che ha eletto domicilio presso il difensore, non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento. Il rimettente, infatti, aveva omesso di descrivere la fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo, non avendo specificato quale sia «il caso in esame», né ha indicato i motivi per cui appare probabile che l'imputato non abbia avuto conoscenza del procedimento, nonostante l'avvenuta notifica al domicilio eletto. Tali carenze precludono alla Corte ogni possibilità di controllo sulla rilevanza della questione e si risolvono, altresì, in difetti di motivazione sulla non manifesta infondatezza. Il rimettente, poi, non ha motivato in ordine ai parametri costituzionali invocati, essendosi limitato a indicare, genericamente, il contenuto degli artt. 3,24 e 111 Cost. (Corte cost. n. 181/2009). Si osservi, peraltro, che la giurisprudenza di merito ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli art. 3 e 24 cost., dell'art. 420 bis, comma 2, nella parte in cui prevede che, nonostante l'omessa notifica all'imputato del decreto di fissazione d'udienza, il giudice possa dichiarare la regolarità della notifica, disponendo di procedere all'udienza in assenza dell'imputato, in virtù della presenza della nomina fiduciaria e dell'elezione del domicilio in atti che forniscono contezza dell'avvenuta conoscenza del procedimento da parte dell'imputato (Trib. Frosinone, 22 ottobre 2014). La Corte costituzionale è intervenuta, successivamente alla riforma “Cartabia”, con la sentenza n. 192 del 26 ottobre 2023, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 420-bis, comma 3, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il giudice procede in assenza per i delitti commessi mediante gli atti di tortura definiti dall'art. 1, comma 1, della Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata a New York il 10 dicembre 1984, ratificata e resa esecutiva con legge 3 novembre 1988, n. 498, quando, a causa della mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato, è impossibile avere la prova che quest'ultimo, pur consapevole del procedimento, sia stato messo a conoscenza della pendenza del processo, fatto salvo il diritto dell'imputato stesso a un nuovo processo in presenza per il riesame del merito della causa. ). La Corte, in primo luogo, ha ripercorso l'evoluzione normativa che ha interessato gli istituti della contumacia e dell'assenza - la quale regola le ipotesi e le condizioni in costanza delle quali soltanto l'imputato può essere giudicato senza essere presente – da ultimo interessata dalla recente riforma operata dal d.lgs. n. 150 del 2022. Ha messo a fuoco le ipotesi – tassativamente individuate - di assenza non impeditiva, che, cioè, non ostano alla celebrazione del processo, ossia: a) quella nella quale l'imputato ha ricevuto la notificazione dell'avviso di udienza a mani proprie o di apposito delegato, ovvero ha espressamente rinunciato a comparire o a far valere un legittimo impedimento; b) quella in cui il giudice, tenuto conto delle modalità della notificazione dell'avviso di udienza (evidentemente non avvenuta a mani proprie), degli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante, ritenga comunque provata la conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato; c) quella in cui l'imputato si è reso latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo, il che evoca l'immagine corrente del “finto inconsapevole”, cioè di colui il quale non sa perché non vuol sapere, e quindi, in un certo senso, finge di ignorare. Ai sensi del vigente art. 420-quater cod. proc. pen., quando non ricorre un'ipotesi di assenza procedibile, né un legittimo impedimento a comparire, se l'imputato non è presente, il giudice pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. Pertanto, ove non si tratti di un reato imprescrittibile, la sentenza di improcedibilità per mancata conoscenza da parte dell'imputato è idonea a definire il processo in modo irreversibile. La Corte, inoltre, ha evidenziato come il d.lgs. n. 150 del 2022, oltre a rimodellare le condizioni per la dichiarazione di assenza - e quindi il sistema delle garanzie ex ante - ha anche modificato il quadro delle garanzie ex post, seguendo una logica binaria, rapportata al tipo di evento oggetto del rimedio. In termini generali, nell'ipotesi in cui l'assenza sia stata “mal dichiarata” – ossia quanto la dichiarazione non corrisponde ad alcuna ipotesi legale di assenza procedibile, il rimedio è incondizionato e regressivo, con sicura retrocessione del processo al momento in cui si è verificata la nullità; se invece l'assenza è stata “ben dichiarata”, quindi in conformità ad un'ipotesi legale di assenza non impeditiva, il rimedio è condizionato e restitutorio, nel senso che l'imputato può ottenere la reintegrazione nella facoltà processuale dalla quale sia eventualmente decaduto qualora provi il carattere incolpevole della decadenza (così gli artt. 489,604 e 623 c.p.p., rispettivamente per il primo grado, l'appello e la cassazione, e ancor prima l'art. 420-bis, comma 6, per la comparizione dell'imputato già in udienza preliminare). Sempre sul versante delle garanzie ex post, il d.lgs. n. 150 del 2022 ha ristretto i margini della rescissione del giudicato, ma ha specularmente ampliato quelli della restituzione nel termine delle impugnazioni ordinarie, in particolare trasferendo a quest'ultimo istituto l'ipotesi della mancata conoscenza della vocatio in iudicium; invero, l'art. 629-bis c.p.p. condiziona il mezzo straordinario post iudicatum alla prova da parte del condannato che l'assenza è stata dichiarata in mancanza dei presupposti di cui all'art. 420-bis c.p.p., e che quindi essa è stata “mal dichiarata”; nel contempo, ai sensi del nuovo comma 2.1. dell'art. 175 c.p.p., l'imputato giudicato in assenza è restituito, a sua richiesta, nel termine per proporre impugnazione, se, nei casi previsti dall'art. 420-bis, commi 2 e 3, c.p.p. fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa, il che prescinde dalla sussistenza di un errore del giudice nella dichiarazione di assenza. Così ricostruite le coordinate della disciplina dell'assenza, le questioni sono state ritenute fondate in relazione agli artt. 2,3 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura. La Corte ha evidenziato che la tortura “è un delitto contro la persona e un crimine contro l'umanità”, essendo “proibita sia dal diritto internazionale penale, sia dalle norme internazionali sui diritti umani, con tale costanza e univocità da attribuire al divieto carattere inderogabile, ascrivendolo allo ius cogens di formazione consuetudinaria”. In particolare, la Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1984 (Convention Against Torture, CAT), ratificata sia dall'Italia, con la legge n. 498 del 1988, sia dall'Egitto, in data 25 giugno 1986, al comma 1 dell'art. 1, racchiude la seguente definizione di tortura: «ai fini della presente Convenzione, il termine “tortura” indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona dolore o sofferenze forti, fisiche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è sospettata aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza persona, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da sanzioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate». Si tratta di un minimum standard, come emerge dal comma 2 dello stesso art. 1, a tenore del quale tale definizione «non reca pregiudizio a qualsiasi strumento internazionale o a qualsiasi legge nazionale che contenga o possa contenere disposizioni di più vasta portata». Il legislatore nazionale ha inteso superare quel minimum standard, poiché l'art. 613-bis c.p. - introdotto dalla legge 14 luglio 2017, n. 110 - punisce anche la cosiddetta tortura privata, orizzontale o impropria (primo comma), stabilendo comunque un più severo trattamento sanzionatorio per la tortura commessa dal pubblico ufficiale (secondo comma), pur se quest'ultima non è rispetto all'altra reato circostanziato, ma reato autonomo (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 25 maggio-31 agosto 2021, n. 32380). Per evitare aree di impunità, l'art. 5 CAT ammette la doppia o tripla giurisdizione nazionale sui reati di tortura, che devono essere perseguiti sia dallo Stato territoriale del commesso delitto (comma 1, lettera a), sia dallo Stato del presunto autore (comma 1, lettera b), mentre è rimesso allo Stato di appartenenza della vittima stabilire se esercitare o meno la propria giurisdizione (comma 1, lettera c; tale opzione discrezionale è stata esercitata dalla legge n. 498 del 1988, il cui art. 3, comma 1, lettera b), stabilisce che è punito secondo la legge italiana, a richiesta del Ministro della giustizia, lo straniero che commette all'estero in danno di un cittadino italiano un fatto costituente reato qualificabile come atto di tortura ex art. 1 CAT. Risulta così integrata la previsione dell'art. 7, primo comma, numero 5), c.p., per cui è punito secondo la legge italiana lo straniero che commette in territorio estero un reato per il quale una speciale disposizione di legge o una convenzione internazionale stabilisca l'applicabilità della legge italiana. La Corte ha poi evidenziato che nella giurisprudenza sull'art. 3 CEDU, la Corte di Strasburgo ha più volte distinto un aspetto procedurale («procedural aspect») del divieto di tortura e un aspetto sostanziale («substantive aspect»), potendo tale divieto essere violato non soltanto dalla materiale inflizione di sevizie e crudeltà, ma anche dall'omesso svolgimento di un'indagine effettiva e completa sulla denuncia di tortura, giacché, quando l'indagine riguarda accuse di gravi violazioni dei diritti umani, il “diritto alla verità” («the right to the truth») sulle circostanze rilevanti del caso non appartiene esclusivamente alla vittima del reato e alla sua famiglia, ma anche alle altre vittime di violazioni simili e al pubblico in generale, che hanno il “diritto di sapere cosa è accaduto” (Corte europea dei diritti dellʼuomo, grande camera, sentenza 13 dicembre 2012, El-Masri contro ex Repubblica jugoslava di Macedonia; poi Corte EDU, sentenze 31 maggio 2018, Abu Zubaydah contro Lituania, e 24 luglio 2014, Al Nashiri contro Polonia). In altri termini, l'art. 3 CEDU esige una «efficient criminal-law response», senza la quale esso è violato nel «procedural limb», ancor prima che nell'aspetto sostanziale (Corte EDU, sentenza 16 febbraio 2023, Ochigava contro Georgia). Ciò posto, la Corte ha affermato che, “ferma la presunzione di non colpevolezza che assiste i quattro funzionari egiziani, non può negarsi che si siano determinate obiettivamente le condizioni di una fattuale immunità extra ordinem, incompatibile con il diritto all'accertamento processuale, quale primaria espressione del divieto sovranazionale di tortura e dell'obbligo per gli Stati di perseguirla”. Invero, “a prescindere dalle ragioni che l'hanno ispirata, la mancata comunicazione da parte dello Stato egiziano degli indirizzi dei propri dipendenti ha impedito finora, ed è destinata a impedire sine die, la celebrazione di un processo viceversa imposto dalla Convenzione di New York contro la tortura, in linea con il diritto internazionale generale”. Precludendo l'accertamento giudiziale della commissione dei reati di tortura, la denunciata lacuna normativa “offende quindi la dignità della persona, e ne comprime il diritto fondamentale a non essere vittima di tali atti; con la precisazione che, a sensi della direttiva (UE) 2012/29 del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, “vittima” è anche il familiare della persona la cui morte sia stata dal reato stesso direttamente causata (art. 2, paragrafo 1, lettera a, punto ii). Di qui la violazione non solo dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla Convenzione di New York contro la tortura, ma anche dell'art. 2 Cost., “in quanto, impedendo sine die la celebrazione del processo per l'accertamento del reato di tortura, annulla un diritto inviolabile della persona che di tale reato è stata vittima. Invero, nello statuto eccezionale del crimine in questione, il diritto all'accertamento giudiziale è il volto processuale del dovere di salvaguardia della dignità”. La Corte ha ritenuto che la censurata lacuna normativa viola anche il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. in quanto comporta “uno spazio di immunità penale, quale si riscontra in un quadro normativo che impedisce di compiere quegli stessi accertamenti giudiziali che sono stati previsti in sede pattizia; accertamenti tanto più necessari in quanto lo Stato italiano, in sede di ratifica della CAT, ha optato per l'esercizio della giurisdizione penale sui reati di tortura commessi all'estero in danno dei propri cittadini”. L'accertato vulnus costituzionale prodotto dalla lacuna normativa in questione può e deve essere “ridotto a legittimità per linee interne al sistema delle garanzie, senza alcun sacrificio, né condizionamento, delle facoltà partecipative dell'imputato, ma unicamente con una diversa scansione temporale del loro esercizio”, in linea con i principi fissati dalla direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, la quale stabilisce che gli Stati membri garantiscono sia «che gli indagati e imputati abbiano il diritto di presenziare al proprio processo» (art. 8, paragrafo 1), sia il «diritto a un nuovo processo», che, svolgendosi in presenza dell'imputato e a sua richiesta, «consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l'esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione originaria», ove il processo sia stato celebrato in assenza, «perché l'indagato o imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi». La Corte ha poi richiamato l'importante sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea 19 maggio 2022, in causa C-569/20, IR, la quale ha chiarito che il giudizio può celebrarsi in assenza solo se preceduto da «ragionevoli sforzi» delle autorità onde rintracciare l'imputato per le notifiche, e che l'imputato giudicato in assenza per impossibilità di rintraccio deve poter esercitare senza condizioni («in linea di principio») il diritto a un nuovo processo di merito, spettando alle autorità, che tale diritto intendano negare, addurre «indizi precisi e oggettivi» da cui risulti che l'imputato ha ricevuto sufficienti informazioni del processo. Chiarito, quindi che il denunciato vulnus costituzionale va sanato mediante un riassetto – non qualitativo, né quantitativo, ma esclusivamente temporale - delle garanzie partecipative dell'imputato, pur sempre all'interno del binario tracciato dalla disciplina dell'assenza, la Corte ha affermato che “la fattispecie addizionale di assenza non impeditiva, che sia tale da evitare una paralisi processuale costituzionalmente e convenzionalmente intollerabile, deve essere comunque rispettosa del principio del giusto processo”, non potendo prescindere dalla conoscenza che l'imputato abbia del procedimento. La Corte si è mostrata ben consapevole del fatto che l'ordinamento italiano ha registrato un progressivo spostamento del fuoco degli accertamenti di assenza dalla conoscenza del “procedimento” alla conoscenza del “processo”. Nondimeno, l'estensione di tale avanzamento dei requisiti di procedibilità anche alla fattispecie ora in scrutinio “determina la paralisi del processo fin dall'esordio, poiché la mancata assistenza dello Stato di appartenenza dell'imputato rende impossibile notificare personalmente all'imputato stesso gli atti formali della vocatio in iudicium, lasciando all'irrilevanza che egli sia a conoscenza del procedimento penale. Tale epilogo di radicale frustrazione del processo non è accettabile, per diritto costituzionale interno, europeo e internazionale, quando si risolve nella creazione di un'immunità de facto ostativa all'accertamento dei crimini di tortura”. La Corte, infine, ha precisato che, in coerenza sia con i presupposti di rilevanza delle questioni, sia con gli obblighi internazionali, la decisione di accoglimento non concerne ogni ipotetica fattispecie nella quale la notifica personale della vocatio all'imputato sia resa impossibile dalla mancata assistenza dello Stato di appartenenza, ma va delimitata esclusivamente alle imputazioni di tortura. Alla luce di tali premesse, il riassetto delle garanzie partecipative che risulti comunque rispettoso dei diritti fondamentali protetti dagli artt. 111 Cost. e 6CEDU nei termini stabiliti dalla giurisprudenza di Strasburgo, deve garantire all'imputato l'accesso incondizionato a «una nuova valutazione del merito dell'accusa». “Questo risultato – ha chiarito la Corte - che sarà compito del giudice comune attuare nella concretezza dei singoli casi, è raggiungibile per effetto della riapertura del processo, cui l'imputato, nell'ipotesi in esame, ha diritto di pervenire in ragione dei presupposti stessi della sua assenza”. Tale fattispecie addizionale di procedibilità in assenza, come individuata dalla Corte, consente infatti all'imputato di accedere senza limiti, né condizioni, al sistema rimediale congegnato dal d.lgs. n. 150 del 2022. Infatti, conformemente ai canoni stabiliti dalla sentenza IR, l'imputato, “poiché irrintracciabile dalle autorità procedenti nonostante i loro «ragionevoli sforzi», può essere oggetto di un processo in assenza, ma può far valere «direttamente» il diritto a un nuovo processo che conduca al riesame del merito della causa in presenza, mentre è onere delle autorità stesse, che intendano negare la riapertura del processo, allegare «indizi precisi e oggettivi» dai quali risulti che l'imputato, nonostante l'atteggiamento non cooperativo del proprio Stato di appartenenza, «ha ricevuto informazioni sufficienti per essere a conoscenza del fatto che si sarebbe svolto un processo nei suoi confronti e, con atti deliberati e al fine di sottrarsi all'azione della giustizia, ha impedito alle autorità di informarlo ufficialmente di tale processo». Di conseguenza, anche qualora l'assenza oggetto dell'odierna additiva sia stata “ben dichiarata”, l'imputato può ottenere la restituzione nelle facoltà processuali, e ciò in ogni momento, semplicemente comparendo, anche prima della pronuncia di un'eventuale condanna, e quindi anche senza ricorrere a un'impugnazione. La Corte, infine, ha sottolineato che “l'amplissima possibilità di riapertura e rinnovazione del processo spettante agli imputati nella fattispecie in esame, necessaria per la conformità alle prescrizioni degli artt. 111 Cost. e 6CEDU, non riduce tuttavia il processo stesso a un simulacro. L'accertamento dei crimini di tortura nelle forme pubbliche del dibattimento penale corrisponde a un obbligo costituzionale e sovranazionale, e già solo per questo non è mai inutile, ove anche circostanze esterne lo privino del contraddittorio dell'imputato. All'imputato stesso, d'altronde, resta garantita ogni facoltà di far sentire la sua voce” (Corte cost., n. 192/2023). Le prime pronunce della Cassazione dopo la novella del 2014Modesti, allo stato, gli interventi della Corte di Cassazione successivamente alla modifica all'art. 420 bis In particolare, è stato ritenuto inammissibile, per carenza d'interesse, il ricorso per cassazione rivolto a contestare l'applicazione dell'art. 420 bis (come modificato dalla legge 28 aprile 2014, n. 67), in luogo della normativa previgente, che imponeva la dichiarazione di contumacia e la conseguente notifica dell'estratto della sentenza ex art. 548, comma 3, in quanto l'imputato non può dolersi della applicazione nei suoi confronti della nuova disciplina, più garantista e favorevole rispetto alla pregressa quanto alla conoscenza del procedimento, ex art. 420 quater e, quindi, anche quanto alla decorrenza dei termini per l'impugnazione (Cass. II, n. 25357/2015). Si è poi affermato che le disposizioni degli artt. 420-bis e quater, introdotte dalla legge n. 67 del 2014, non si applicano ai processi in corso nei quali l'imputato sia già stato dichiarato contumace, dal momento che gli stessi, ai sensi dell'art. 15-bis della l. n. 67 del 2014, continuano ad essere disciplinati dalle previsioni normative anteriormente vigenti, con ogni conseguenza in ordine alla dichiarazione di contumacia ed ai suoi effetti (Cass. V, n. 39257/2015). Ciò spiega il motivo per cui la Cassazione ha chiarito che, qualora l'imputato, già contumace, sia stato dichiarato assente nell'intervallo temporale intercorrente tra la modifica dell'art. 420-bis c.p.p., apportata dalla l. 28 aprile 2014, n. 67 e l'entrata in vigore della norma transitoria di cui all'art.15-bis della suddetta legge (articolo inserito dalla l. 11 agosto 2014, n. 118 ed in vigore dal 22 agosto 2014), l'ordinanza deve ritenersi priva di efficacia, in quanto il regime transitorio si applica a tutti i procedimenti in corso in cui è stata dichiarata la contumacia, ma non è stata pronunciata la sentenza di primo grado (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto che erroneamente era stata omessa la notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di primo grado per effetto della conversione della contumacia in assenza, disposta in violazione dell'art.15-bis inserito dalla l. n. 118/2014: Cass. V, n. 33112/2018). L'erronea declaratoria dell'assenza in luogo della contumacia, nel caso in cui sia ancora applicabile la relativa disciplina ai sensi dell'art. 15-bis, comma 2, della l. n. 67/2014 come introdotto dalla l. n. 118/2014, non dà però luogo a nullità, in quanto detta sanzione processuale non è espressamente prevista, né desumibile da alcuna delle previsioni di cui all'art. 178, comma 1, lett. c). (In motivazione, la S.C. ha precisato che può causare nullità solo il mancato rispetto delle norme a tutela del diritto di difesa del contumace non previste per l'assente, quale, in specie, quella del previgente art. 548, comma 3, che prevedeva, per il primo, l'obbligo di notifica dell'avviso di deposito con estratto della sentenza: Cass. III, n. 18872/2019). Coerente con tale principio è dunque quella decisione che ha affermato come integra un'ipotesi di non esecutività della sentenza, deducibile ai sensi dell'art. 670, l'omessa notificazione dell'avviso di deposito con l'estratto della sentenza di condanna emessa nei confronti di un imputato erroneamente dichiarato assente, anziché contumace, in un processo in cui, ai sensi dell'art. 15-bis, comma 2, della l. n. 67/2014, continuano a trovare applicazione le disposizioni anteriori all'entrata in vigore di tale legge, atteso che, anche nel caso in cui il difensore non abbia eccepito dinanzi al giudice della cognizione la violazione dell'indicata disciplina transitoria, la situazione sostanziale di contumacia dell'imputato impone comunque la notificazione dei predetti atti, a norma dell'art. 548, comma 3, "ratione temporis" vigente (Cass. I, n. 1552/2019). Tuttavia, nel caso di giudizio di primo grado iniziato nel vigore della disciplina sulla contumacia, qualora il giudice abbia successivamente rilevato l'irregolarità della citazione a giudizio dell'imputato e ne abbia disposto la rinnovazione nella vigenza della l. n. 67/2014, trovano integrale applicazione le nuove disposizioni sull'assenza, per effetto delle quali l'imputato assente non ha diritto alla notifica dell'estratto contumaciale della sentenza di primo grado (Cass. II, n. 21454/2019; Cass. II, n. 53792/2018). In tema di processo celebrato in assenza dell'imputato, la notificazione della citazione a giudizio effettuata all'imputato presso il difensore d'ufficio domiciliatario indicato nel corso delle indagini preliminari, è ritenuta valida in virtù della presunzione legale di conoscenza del procedimento (Cass. V, n. 5363/2018). Un contrasto giurisprudenziale sul punto è stato di recente risolto dalla Corte di cassazione. A fronte, infatti, di un orientamento il quale sosteneva che è affetta da nullità rilevabile in ogni stato e grado del procedimento la sentenza di merito nel caso in cui si sia proceduto in assenza dell'imputato senza accertare l'effettiva conoscenza da parte del medesimo del processo a suo carico, ove non risultino rapporti con il difensore d'ufficio, indicato dalla polizia giudiziaria in sede di verbale di identificazione, al quale siano stati notificati tutti gli atti del processo (Cass. II, n. 20937/2020; Cass. II, n. 9441/2017), si registrava un contrapposto orientamento il quale sosteneva invece che deve escludersi l'incolpevole mancata conoscenza del processo nel caso in cui risulti che l'imputato abbia, nella fase delle indagini preliminari, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell'imputato, sul quale grava l'onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento (Cass. IV, n. 32065/2019; Cass. IV, n. 10238/2020; Cass. II, n. 39158/2019, tutte in tema di rescissione del giudicato). Espressione di un orientamento intermedio, infine, era quella decisione che aveva affermato che l'elezione di domicilio da parte dell'imputato, solo se effettuata prima dell'accertamento della regolare costituzione delle parti, consente di presumere la conoscenza del processo e di conseguenza di addebitare all'imputato l'onere di tenersi informato sul prosieguo (Cass. V, n. 11313/2020). Come anticipato, il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite dalla Cassazione, che ha infatti affermato che in tema di dichiarazione di assenza con riferimento alle situazioni precedenti all'introduzione dell'art. 162, comma 4-bis ad opera della l. n. 103/2017, la sola elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio, da parte dell'indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza, dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza dello stesso (Cass. S.U., n. 23948/2020). Nessun dubbio, invece, nel caso di difensore di fiducia. Ed invero, la S.C. ha sul punto chiarito che in tema di processo celebrato in assenza dell'imputato ai sensi dell'art. 420-bis, la nomina del difensore di fiducia non costituisce un dato meramente formale, ma è un elemento dal quale dedurre con certezza che l'imputato ha avuto conoscenza del processo (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione dei giudici d'appello che, in presenza di detta nomina, hanno escluso che dalla durata ultradecennale del giudizio e dall'assenza di contatti tra l'imputato ed il difensore potesse desumersi la mancanza della consapevolezza dell'imputato dell'istaurazione del processo a suo carico: Cass. III, n. 49800/2018). Quanto alla natura giuridica della nullità, la S.C. ha chiarito che la celebrazione del processo, non ricorrendo le condizioni di cui all'art. 420-bis, commi 1 e 2, e senza che il giudice abbia disposto la sospensione ai sensi dell'art. 420-quater, determina, in virtù dell'art. 604, comma 5-bis, la nullità della sentenza equiparabile, quanto al regime di rilevabilità, ad una nullità assoluta, con conseguente obbligo da parte del giudice di appello di restituzione degli atti al giudice di primo grado. (Fattispecie in cui la Corte ha disposto la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, avendo la sentenza di appello riconosciuto che il tribunale aveva violato gli artt. 420-bis e art. 420-quaterma ritenuto la nullità in questione a regime intermedio e come tale sanata, in quanto non eccepita immediatamente dal difensore, ex art. 178, lett c): Cass. V, n. 37185/2019). Si è peraltro esclusa la nullità, nel caso in cui il decreto di citazione per il giudizio d'appello rechi un duplice avvertimento in ordine alle conseguenze della mancata comparizione dell'imputato, richiamando sia la disciplina in tema di contumacia, sia quella, alternativa, dell'assenza, non ridondando tale ambiguità in pregiudizio dei diritti difensivi, trattandosi di ammonimento a contenuto meramente informativo destinato esclusivamente all'imputato, divenuto irrilevante in seguito all'abolizione dei ricorso personale per cassazione da parte di quest'ultimo per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 103/2017 (Cass. V, n. 40427/2019). Si è precisato che la mancata comparizione in udienza dell'imputato detenuto, che abbia rinunciato ad essere presente, non dà luogo a contumacia, ma a mera assenza, con la conseguenza che, in tal caso, non sussiste alcun obbligo di notifica dell'avviso di deposito della sentenza, previsto solo per l'imputato contumace. (La Corte ha affermato tale principio in una fattispecie cui era applicabile il disposto di cui all'art. 548, comma 3, c.p.p., nel testo previgente alle modifiche introdotte dall'art. 10, comma 5, della l. n. 67/2014: Cass. IV, n. 22079/2018). Da ultimo, in senso conforme, la S.C. ha ribadito che la rinuncia a comparire all'udienza da parte del detenuto - a seguito della quale l'imputato è legittimamente considerato assente e, come tale, rappresentato dal difensore – ha effetto non solo per l'udienza in relazione alla quale essa è formulata ma anche per quelle successive, tanto in caso di costante restrizione in esecuzione del medesimo titolo quanto nel caso in cui tra le due udienze intervenga una nuova forma di restrizione per altra causa (Cass. IV, n. 50444/2019). È in ogni caso onere dell'imputato, regolarmente citato in stato di libertà e dichiarato contumace, segnalare tempestivamente al giudice il suo sopravvenuto stato di detenzione, se non desumibile dagli atti né altrimenti comunicato, e la sua volontà di prendere parte al giudizio, non potendo egli, in caso contrario, invocare "a posteriori" la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello per non aver potuto partecipare al processo (Cass. II, n. 27817/2019). Di grande interesse è tuttavia quella decisione che, valorizzando una recente decisione della Corte costituzionale (Corte cost., n. 111/2022), ha affermato il principio di diritto, secondo cui la sentenza di merito, dichiarativa della prescrizione del reato, adottata nonostante si sia proceduto in assenza dell'imputato e in mancanza delle condizioni previste dall'art. 420-bis c.p.p., è affetta da vizio derivante da difetto del contraddittorio, sul quale la causa estintiva non prevale. Di conseguenza, la Corte di cassazione, secondo interpretazione costituzionalmente orientata, deve annullare la sentenza in tal modo viziata, dinanzi a sé impugnata, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p. (Cass. I, n. 39097/2023). Profili di diritto intertemporaleLa disciplina transitoria approntata all'art. 89 del d.lgs. n. 150/2022 dà puntuale attuazione al criterio di delega che ha imposto di avvisare il condannato, nel provvedimento di esecuzione, che, ove si sia proceduto in sua assenza, potrà attivare i rimedi previsti che sono, a seconda dei casi, la remissione nel termine per impugnare o la rescissione del giudicato. Su questa base, l'art. 89 del d.lgs. n. 150/2022 distingue due ipotesi: a) per i processi pendenti in cui, alla data di entrata in vigore del decreto [30 dicembre 2022], sia stata già pronunciata (in qualsiasi stato e grado) ordinanza con cui si è disposto procedersi in assenza dell'imputato, continuano ad applicarsi le disposizioni procedurali ante riforma (art. 89, comma 1); b) in deroga a tale previsione, nei processi in cui alla data di entrata in vigore del decreto [30 dicembre 2022], nell'udienza preliminare o nel giudizio di primo grado, sia stata già disposta la sospensione del processo ai sensi dell'art. 420-quater, comma 2, c.p.p. nella sua previgente formulazione e l'imputato non sia stato ancora rintracciato, il giudice provvede, invece, ai sensi del novello art. 420-quater c.p.p., con conseguente emanazione della sentenza di non doversi procedere per assenza “impediente”. In questo caso, si applicano, altresì, gli artt. 420-quinquies e 420-sexies c.p.p., introdotti dalla riforma (art. 89, comma 2, d.lgs. n. 150). In sintesi, vale la regola che, se il giudice è già intervenuto sulla costituzione delle parti ed ha già pronunciato ordinanza con cui ha disposto procedersi in assenza dell'imputato, si dovrà procedere con la vecchia disciplina nei procedimenti in corso al 30 dicembre 2022, i quali proseguiranno con l'applicazione ultrattiva delle previgenti disposizioni del codice di rito e di quelle attuative in materia di assenza, comprese quelle relative alle questioni di nullità in appello e alla rescissione del giudicato. In via di eccezione, si applicano le nuove disposizioni, a partire dalla disciplina della sentenza di non luogo a procedere per assenza “impediente”, quando non sia stata già dichiarata l'assenza dell'imputato ma siano state già disposte le sue ricerche di cui al comma 2 dell'art. 420-quater c.p.p. e l'imputato non sia stato ancora reperito: in tali processi, anziché disporsi nuove ricerche ai sensi dell'art. 420-quinquiesnel testo previgente, il giudice provvederà ai sensi dell'art. 420-quater c.p.p. come ora modificato, con applicazione delle norme conseguenti. CasisticaAssenza dell'imputato Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 420-bis, la stessa può così sintetizzarsi: a ) se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza, il giudice procede in sua assenza ed è rappresentato dal difensore in quattro casi: 1) quando l'imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell'atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell'atto; 2) quando l'imputato ha espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell'articolo 420-ter, ha rinunciato espressamente a farlo valere; 3) quando ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all'udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole (a tal fine il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante); 4) quando l'imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo. b ) fuori dai casi predetti, prima di procedere ai sensi dell'articolo 420-quater, il giudice rinvia l'udienza e dispone che l'avviso di cui all'articolo 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d'udienza siano notificati all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria; c ) l'ordinanza che dichiara l'assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare; d ) l'imputato è restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto, in tre ipotesi: 1) se fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell'assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell'impedimento senza sua colpa; 2) se, nei casi sopra indicati, fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non essere potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; 3) se comunque risulta che le condizioni per procedere in sua assenza non erano soddisfatte; e ) fuori dalle tre ipotesi dianzi descritte, se risulta che le condizioni per procedere in assenza non erano soddisfatte, il giudice revoca, anche d'ufficio, l'ordinanza che dichiara l'assenza dell'imputato e rinvia l'udienza, disponendo che l'avviso di cui all'articolo 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d'udienza siano notificati all'imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria. BibliografiaBricchetti - Pistorelli, Così « scompare » il processo in contumacia, in Guida dir. 2014, 21, 92; Bricchetti - Pistorelli, Ipotesi tipizzate per la celebrazione del rito, in Guida dir. 2014, 21, 96; Bricchetti - Pistorelli, Giudizi pendenti pieni di insidie interpretative, in Giuda dir., 2014, 21, 105; Conti - Tonini, Il tramonto della contumacia, l’alba radiosa della sospensione e le nubi dell’assenza « consapevole », in Dir. pen. proc. 2014, 509; Lazzeri, La sentenza delle Sezioni unite sui rapporti tra dichiarazione di assenza ed elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio, in Sist. pen. 2020, 7 settembre 2020; Mangiaracina, Alla ricerca di un nuovo statuto per l’imputato assente, in www.sistemapenale.it; Mele, Il processo in assenza, in Relazione su novità normativa la “riforma Cartabia”, Ufficio del Ruolo e del Massimario della Corte di cassazione, 2, 2023, 95 ss.; Quattrocolo, Il contumace cede la scena processuale all’assente, mentre l’irreperibile l’abbandona, in penalecontemporaneo.it; ID., Partecipazione al processo e contraddittorio. In onore di Mario Chiavario, in www.lalegislazionepenale.eu, 19 ottobre 2020, 107 ss. |